Claudio Elliott

L’intervista a Claudio Elliott (di Maria Pina Ciancio)

Picture
Claudio, perché scrivere oggi un libro sul bullismo?

La tematica è di attualità, ma vorrei ricordare che non è da oggi che si parla di bullismo. Già nel Cuore di De Amicis se ne parla, e sono molti i romanzi che ne trattano. Ma la prepotenza (è il caso di dirlo) dei mass-media odierni pone la questione con molta insistenza, come se fosse un fenomeno nuovo; e l’idea di scrivere I Giorni della Tartaruga mi è venuta proprio dopo aver letto un articolo del quotidiano, in classe.


Come educatore, quanto ritieni “urgente” questo problema?

È di sicuro un problema rilevante, specie in alcune realtà sociali, che poi non sono sempre quelle cosiddette “degradate”: il fenomeno non è di facile eziologia: infatti questioni psicologiche e sociologiche si intrecciano, e tra queste il rapporto con gli altri, complessi di inferiorità, desiderio di dominio, insicurezza, e non dimentico di citare la famigerata e tristissima noia, che viene tirata in ballo per episodi anche molto più gravi di quelli bullistici; in fondo è una mancanza di valori, di interessi, di connessione col tessuto sociale.
Insegno lettere e non so quanto io possa essere un educatore (sono spesso i ragazzi che educano me); il problema più che urgente lo trovo sottilmente insinuante (e quindi pericoloso) perché nella città in cui vivo, Potenza, il bullismo è più strisciante che eclatante, è più fatto di cattiverie, malignità, piccoli ricatti, senza gesti troppo palesi. La consunzione della vittima è una cottura a fuoco lento.
Però devo aggiungere che in tanti anni di insegnamento non ricordo un solo evidente e grave episodio di bullismo: quelli descritti nel mio romanzo li ho dedotti da chiacchierate con insegnanti, specie delle superiori, e dai mass-media.


Credi che la Scuola come istituzione e i docenti come singoli, siano attrezzati ad intervenire contro questo dilagante e delicato fenomeno sociale?

La scuola non è pronta, che io sappia. Ah, certo: si fanno incontri, convegni, dibattiti, si invita questo e quello, ma di pratico, di pragmatico, di una soluzione effettiva si parla poco. Nei Giorni della Tartaruga viene proposta una soluzione pragmatica, che ho appreso leggendo libri sull’argomento (come ti ho detto, non ho esperienza diretta): è un romanzo, naturalmente, e vale quello che vale, però vuole dimostrare a docenti e Scuola che le cose si possono affrontare con poche chiacchiere e più praticità.


I tuoi libri si rivolgono sempre a un doppio lettore adulto (docente) – giovane (studente). Quanto ritieni importante la lettura come strumento informativo e di sensibilizzazione culturale?

La lettura è più uno strumento che colpisce le corde della sensibilità che uno strumento informativo. O meglio, se il libro ti appassiona, se ti ci tuffi dentro, se fuori non rimane che un piccolo aggancio alla realtà (l’orecchio pronto a carpire la voce di un familiare, per esempio, o il naso che ti dice che la cena è pronta), e quindi tutta la tua persona è dentro con la tua anima sensibile, allora il libro diventa anche uno strumento informativo. Altrimenti, rimane tutto in superficie. Nel primo caso sei un ottimo lettore, nel secondo un lettore. 


Se puoi, raccontaci in breve la metafore del titolo “I giorni della Tartaruga” e magari anche un po’ della storia, lasciandoci però la suspence sulle ultime maglie della trama.

Non posso raccontarti la metafora del titolo perché toglierei davvero molto alla curiosità del lettore. Eppoi, detto tra noi, non ho mai letto il libro e quindi sono so di cosa stai parlando!
Idem per la trama: non me la ricordo. Questa distrazione che mi perseguita da quand’ero bambino … Magari qualche notizia possono averla dal mio sito www.claudioelliott.it o sul sito della casa editrice Raffaello.


Cosa diresti infine ad insegnanti e studenti per convincerli a leggere il tuo libro?
Bah. Un libro che racconta una storia di bullismo e di disagio, che ha un paio di personaggi atipici: un sacerdote dal passato misterioso e una nonna svampita. E poi il bullo, la vittima, gli amici dell’uno e dell’altro, i prof impotenti, e sullo sfondo una città qualunque.